Parlare di pensioni e di età pensionabile in un paese come l’Italia è molto difficile. Se nel secolo scorso molti riuscivano a conquistarsi un assegno a vita con appena venti anni di lavoro effettivo, adesso il doppio possono non essere sufficienti. Sollevare un argomento che ha attraversato simili rivoluzioni, insomma, si rivela spesso più che rischioso, inconcludente: un modo di dare la stura a una litania di rivendicazioni che non tengono in alcun conto cambiamenti epocali come l’aumento della vita, e condizioni di salute sempre migliori a qualunque età, beninteso escludendo tragedie come la pandemia in atto.
Questo, però, è pure un periodo in cui si entra nella vita lavorativa stabile sempre più tardi. Una problematica che l’AFAM, con le sue graduatorie, conosce assai bene. Dunque ragionare sul problema in maniera disincantata, priva di pregiudizi e costruttiva, è il modo migliore per trovare una soluzione condivisa.
Al momento, volenti o nolenti, l’età ultima di collocamento a riposo per i docenti dell’AFAM è fissata ai 67 anni di età. Si può arrivare ai 70 soltanto se, allo scadere del limite, non si è maturato il diritto alla pensione, e questo anche qualora allo scadere del 70° anno la pensione non sia comunque maturata (Tribunale di Padova, ordinanza del 9.08.2017, interpretando l’art. 509, comma 3, D.Lgs. 297/1994).
Per l’Università è diverso, il termine ultimo di collocamento a riposo è di 70 anni. Non si comprende, invero, la ragione di questa disparità di trattamento: o meglio, lo si comprende soltanto se si considera che, agli occhi del legislatore, finora l’AFAM è una specie di Università di serie B, di cui non si riesce a cogliere l’importanza strategica a nessun livello, né per quanto riguarda le risorse umane, né per quanto riguarda le risorse economiche. Insieme alle rivendicazioni dei docenti in materia di stipendi e contratti, al supporto economico delle ricerche e di tesori lasciati troppo spesso a se stessi come le biblioteche, bisognerebbe cominciare a riflettere sulla possibilità di chiedere – per chi sia in salute e lo desideri – di rimanere in servizio fino ai 70 anni. Di più: visto che esistono docenti che neppure rimanendo in servizio fino a quel limite riuscirebbero a guadagnarsi l’anzianità minima per un assegno che riconosca dignità alla loro vecchiaia, perché non consentire loro di rimanere in servizio fino al raggiungimento del loro obiettivo, qualora le condizioni di salute – oggi sempre migliori con l’avanzare dell’età, ricordiamolo – lo consentano? Sono questi i temi di un dibattito concreto, che i docenti dell’AFAM dovrebbero iniziare a far propri.
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