Un aspetto purtroppo sottovalutato per il buon funzionamento delle istituzioni AFAM sono le cosiddette “cattedre uniche”, sempre più spesso suscettibili di cancellazioni o conversioni in altra cattedra di altra disciplina.
Per cercare qui di articolare un ragionamento complessivo sulla loro funzione e sulla loro importanza, partiremo dal dire che — di per sé — la possibilità che hanno i Conservatori di intervenire sulle cattedre, adattandole alle necessità della loro utenza, tagliando gli insegnamenti non più richiesti e spostandoli invece dove sono ritenuti utili è una buona cosa, che permette flessibilità verso ciò che si rivela necessario agli studenti, adeguandosi ai cambiamenti che intervengono nel corso del tempo.
Esistono però cattedre che – diciamo così – nascono uniche: storicamente, ogni Conservatorio ne aveva soltanto una. Per esempio, la cattedra di Bibliografia e biblioteconomia musicale, la cattedra di Esercitazioni orchestrali, quelle di Esercitazioni corali, Poesia per musica e Drammaturgia musicale o alcuni strumenti spesso fondamentali nella compagine orchestrale. Per precise disposizioni ministeriali, bisognerebbe avere “particolare riguardo alle cattedre uniche soprattutto se di insegnamenti fondamentali” e di conseguenza non sarebbe possibile congelare, chiudere o trasformarle seguendo le raccomandazioni espresse dalla nota n. 3807 del 22 aprile 2013 dall’allora direttore generale dell’AFAM Giorgio Bruno Civello. Non si tratta di una mera questione formale di rispetto verso una “vecchia” disposizione: la sua ratio dipende dal fatto che la sua mancata osservanza procura un danno osservabile, poiché in questi casi specifici diminuisce vistosamente la qualità dell’offerta formativa che l’istituzione offre, ed è grave miopia non esserne consapevoli. Non solo, le istituzioni dell’Alta Formazione Musicale, privandosi di insegnamenti unici, si assumono una grande responsabilità culturale nei confronti della musica e delle tradizioni musicali del nostro Paese.
Partiamo dalla cattedra di Bibliografia e biblioteconomia musicale. Dai tempi della mitica biblioteca di Alessandria si sa che un’istituzione universitaria – cioè quel che sono le istituzioni AFAM – è tale soltanto se dotata di una biblioteca ben gestita e funzionante. Su cosa voglia dire nello specifico “ben gestita e funzionante” si potrebbe scrivere più di un volume, cosa che ci guarderemo dal fare, come ci guarderemo dal menzionare casi specifici. Qui vogliamo affrontare il problema, particolarmente complesso, nelle sue generalità. Tralasciando le questioni che pongono in particolare le biblioteche storiche – e tutto quel che riguarda la conservazione e gestione del patrimonio musicale dei Conservatori – in questa sede ci limiteremo a dire che il docente di Bibliografia e biblioteconomia musicale deve essere capace di provvedere supporto scientifico all’attività di qualunque professore di Conservatorio, a partire da coloro che insegnano Storia della musica fino all’insegnante di Percussioni o di Jazz. Deve insomma poter mettere a disposizione di chiunque gli strumenti della ricerca: un compito che già così risulta fondamentale, per non parlare del fatto che deve anche insegnare, dunque trasmettere agli studenti, le proprie competenze. Qualcosa che neppure le Università prevedono al momento, almeno qui in Italia, e che rende il sistema bibliotecario dei Conservatori assolutamente all’avanguardia.
Tutto ciò in molti casi non viene tenuto nel minimo conto, e il docente di Bibliografia e biblioteconomia musicale viene ridotto, nelle miopi visioni di troppi, a “quello che dà i libri”: dunque qualcuno che può essere sostituito senza troppi problemi da un impiegato amministrativo in grado di consultare un catalogo o di operare semplici ricerche su Internet. Non è così, ovviamente, i fatti sono lì a dimostrarlo. Alcuni Conservatori particolarmente illuminati e decisamente in controtendenza hanno iniziato a raddoppiare quella cattedra. Ma laddove ci si è lasciati trasportare dalle considerazioni più corrive, il danno è stato grave, soprattutto in quanto ormai è prossima l’attivazione dei dottorati di ricerca e del terzo livello di studi. Per essi è previsto che l’istituzione che voglia ospitarli possieda supporti scientifici alla ricerca in essere – dai tempi di Alessandria, ricordiamolo, questo significa in primis una biblioteca –, dunque la mancanza di una cattedra specifica di Bibliografia e biblioteconomia musicale rischia di tagliare fuori dai dottorati chi non ce l’ha: a tal proposito, si leggano anche le recenti linee guida dell’ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca). È un gioco che vale la candela? Ed è ammissibile che si conceda di giocarlo, sulla pelle degli studenti e dei professori?
Problemi analoghi investono una materia come Poesia per musica e Drammaturgia musicale. Anche qui, in molti casi si ritiene che il docente titolare possa essere sostituito sic et simpliciter da quello di Storia della musica: ma la titolazione delle due cattedre segnala scopi affatto diversi. Tenendo conto che il rapporto parola-musica è probabilmente alla base della musica stessa, e che è fondamentale per comprendere a fondo qualunque tipo di musica cantata, è evidente che il docente specifico della materia andrà nel profondo su tematiche che il docente di Storia della musica potrà solo sfiorare. Inoltre, senza neppure menzionare l’importanza del melodramma nella costruzione della nostra immagine nazionale, in Italia e all’estero, c’è da considerare che il jazz e la musica pop, guadagnando sempre più spazio nelle istituzioni AFAM, hanno bisogno di questa materia più che mai, vivendo di musica cantata.
Considerazioni molto simili vengono spontanee pensando a cattedre come Esercitazioni orchestrali, Esercitazioni corali o ad alcuni strumenti specifici. La pratica della musica d’insieme è fondamentale ad ogni livello di istruzione nelle istituzioni AFAM, nessuno può restarne escluso. Semplicemente questo dovrebbe scoraggiare ogni ipotesi di cancellazione o conversione di queste discipline.
Le cancellazioni o le conversioni delle “cattedre uniche” sollevano problemi delicati e specifici. L’autonomia dei Conservatori, ancora non pienamente acquisita, consente ai consigli accademici e di amministrazione di dare un indirizzo culturale forte alle istituzioni loro affidate: anzi, è auspicabile che tale indirizzo si manifesti in maniera assai più marcata di quanto non sia successo finora. Esisteranno in futuro Conservatori specializzati in specifici tipi di musica, o in particolari strumenti. Tutti, però, devono garantire un livello di studi coerente, che consenta agli studenti l’accesso a conoscenze imprescindibili: altrimenti si crea un sistema che vive non di diversità – sempre feconde e ben accette – ma di discrasie intollerabili nei livelli di conoscenza. Vogliamo questo?
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