Su richiesta del Presidente della VII Commissione Istruzione, Ricerca e Beni Culturali del Senato della Repubblica, l’Associazione Nazionale Docenti AFAM ha inteso dare il proprio contributo al Disegno di Legge n. 2020 concernente la delega al Governo per il riordino degli studi artistici, musicali e coreutici (Disegno di Legge n. 2020).
Gentile Presidente, Gentili Senatrici e Senatori,
pur apprezzando lo sforzo dei firmatari della proposta, che tentano di aumentare la presenza della musica come disciplina di insegnamento nella scuola di base dei nostri istituti (dalla primaria alla secondaria di secondo grado), come Associazione Nazionale Docenti AFAM rileviamo alcuni punti che a nostro avviso andrebbero emendati affinché davvero la presenza della formazione musicale nel curricolo verticale di studi sia generalisti che specifici musicali diventi finalmente imprescindibile e si possa iniziare a costruire una cultura musicale allargata a tutta la popolazione del nostro Paese, oltre che colmare la lacuna esistente negli studi musicali pre-accademici, anche per l’eredità culturale di cui siamo responsabili. Comprendiamo anche la necessità dei proponenti di non stravolgere l’attuale cornice formativa, cercando di potenziare con piccolissime modifiche e tuttavia alcune considerazioni sono necessarie fin da subito, per evitare che – se approvato così come proposto – il disegno di legge si riveli più un’occasione persa che di reale cambiamento. Si fa, inoltre, presente che nella legge 508 del 1999 riguardante la riforma delle Accademie, Conservatori ecc. si fa già cenno alla filiera musicale, seppur ancora oggi questa legge sia monca di decreti e regolamenti attuativi.
Pertanto, sottoponiamo sinteticamente all’attenzione della Commissione questi punti (l’ordine non è tassonomico):
– In premessa si cita il Modello Abreu che come ben sappiamo è ‘modello’ non tanto in senso metodologico quanto per approccio pedagogico, capillarità di diffusione e impegno economico dello Stato. Appare dunque quantomeno contraddittorio fondare la proposta sul concetto di ‘scuola ad indirizzo’: la musica – in considerazione del suo indiscusso valore formativo come oramai più che provato a livello scientifico (basterà richiamare le quotidiane attestazioni degli studi delle neuroscienze) – deve essere presente in ogni scuola, essere disciplina curricolare integrata nel percorso di apprendimento di bambini, ragazzi e adolescenti in ogni segmento dell’istruzione/formazione, almeno dalla scuola dell’infanzia alla secondaria di secondo grado, certamente con quote orarie diverse in base alle classi e agli obiettivi ma senza opzionalità. In tale prospettiva, l’inserimento delle classi di strumento può essere prevista negli istituti comprensivi dove sia già attiva la scuola media ad indirizzo musicale SOLO LIMITATAMENTE all’a.s. 2021/2022, ma dovrà poi estendersi gradualmente a tutti gli istituti del Paese;
– L’insegnamento nel Tempo musica nella scuola primaria, così come dello strumento musicale nella stessa fascia di età, dovrà essere affidato a personale esperto che abbia una formazione specifica nell’ambito psico-pedagogico dell’età evolutiva, nei percorsi istituiti all’interno delle scuole di Didattica della Musica dei Conservatori (Diplomi triennali in Didattica della Musica titolo di accesso obbligatorio all’insegnamento nella primaria);
– L’idea di utilizzare il tempo scuola aggiuntivo (3h) o pieno (10h) per istituire il Tempo Musica e il Tempo pieno delle Arti sarà fallimentare nella grande maggioranza delle istituzioni, dove questo ‘tesoretto’ di ore è da sempre conteso per realizzare attività di recupero, sostegno, potenziamento eccetera eccetera, ovvero quelle attività in genere considerate più urgenti o necessarie. In ogni caso, è evidente che si creerebbe una enorme disparità tra scuola e scuola, e quindi un vero e proprio musical divide: in alcune, il curricolo comprenderebbe il Tempo musica, in altre no, con grave disparità nella offerta educativa e didattica e nella formazione degli alunni;
– Per una ragione molto simile a quella esposta al primo punto, si ritiene che l’insegnamento della musica – nella sua valenza di linguaggio simbolico, artistico/espressivo e di profondo valore antropologico oltre che storico culturale anche nei progetti di inclusione ed integrazione che oggi si impongono alla progettazione dei piani di studio – vada assolutamente e finalmente esteso a tutte le scuole secondarie di secondo grado, con un peso certamente ben più importante nei licei musicali, ma in maniera trasversale anche in tutti gli altri indirizzi di studio;
– È opportuno inserire delle ore dedicate alla formazione storico-musicale nei percorsi scolastici Accanto alla musica pratica, che si studia e che si esegue, e che quindi richiede un percorso specifico, esiste anche una musica intesa come disciplina storico-umanistica, strettamente legata a tutte le altre manifestazioni della nostra civiltà, non solo letterarie e artistiche, ma anche filosofiche, sociali, economiche. La storia della musica è dunque ben altra cosa dall’alfabetizzazione musicale e dalla pratica esecutiva. E senza lo studio e l’ascolto della storia musicale, qualunque analisi della nostra civiltà risulta inevitabilmente non solo incompleta, ma non pienamente comprensibile. In altre parole, senza la Storia della musica tutta la nostra storia rimane sfocata, in alcuni casi addirittura rischiosamente esposta a travisamenti. Occorrerebbe integrare gli attuali studi storici o dell’arte, con quelli delle discipline storico-musicali. La Storia della musica può e deve instaurare con le altre di- scipline un fondamentale processo di interazione; un rapporto antico che affonda le radici nel pensiero classico. Ma la Storia della musica è importante non solo per la sua complementarità̀ con le altre discipline. L’assenza di questa disciplina dai percorsi scolastici ci priva anche di un formidabile mezzo per comprendere in modo ad un tempo immediato e profondo il carattere, la Stimmung di tanti movimenti culturali: romanticismo, decadentismo, futurismo ecc. Con l’ascolto della musica è possibile formare il discente, aumentare le sue potenzialità. L’insegnamento della Storia della musica nella scuola secondaria di secondo grado nel nostro Paese rappresenterebbe un tratto caratterizzante e ben radicato del sistema educativo scolastico, frutto di una sensibilità culturale moderna e lungimirante e costituirebbe un modello già adottato dagli altri Paesi comunitari. Sarebbe un’occasione privilegiata di formazione culturale e professionale per tutti gli studenti che desiderano conoscere il patrimonio storico-musicale del Paese, le identità e le proprie radici musicali. Lo studio della Storia della musica è un atto non solo fortemente emblematico, ma indispensabile in un Paese come il nostro: il valore ascrivibile all’articolo 9 della Carta costituzionale, in cui è solennemente sancito lo sviluppo della cultura, della ricerca scientifica e tecnica nonché, segnatamente, la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico. Solo inserendo la Storia della musica, non in una nicchia per specialisti ma, in tutti i percorsi didattici si garantisce ai giovani una vera ricettività umanistica. Fino ad oggi l’insegnamento della Storia della musica viene svolto solo nei Licei musicali per un totale di sole due ore settimanali dalla prima alla quinta classe; mentre un’ora settimanale e solo dalla terza alla quinta classe per un totale di trentatré ore nei licei coreutici. Troppo poco – o per dire quasi nulla –, per una Paese come l’Italia ove è nata e si è sviluppata l’identità musicale occidentale. Risulta particolarmente preoccupante l’assenza della disciplina in alcuni indirizzi caratterizzanti, negli altri ordini liceali e soprattutto nella scuola secondaria;
– Per la scuola secondaria di primo grado è opportuno che le disponibilità delle classi di strumento sia decisa in base al numero di richieste e che si possa superare il famoso limite dei “quattro strumenti”. Pertanto, occorre un’offerta formativa il più omogenea possibile, prevedendo delle percentuali minime da rispettare per ciascuno strumento su base provinciale, che tenga conto anche dei corsi già attivi. Così facendo si andrebbe a promuovere la conoscenza di quegli strumenti meno diffusi arricchendo la conoscenza del nostro patrimonio musicale;
– Si ritiene che, in concomitanza con l’ampliamento dei percorsi di studio anche al linguaggio (meglio sarebbe forse definirlo ‘pronuncia’) del jazz vada prevista assolutamente per identica motivazione la possibilità di ampliamento anche nelle direzioni del pop, del rock (generi peraltro molto più diffusi e ‘attraenti’ e quindi efficaci sul piano della motivazione all’apprendimento rispetto al jazz), delle musiche di tradizione del mondo, della musica antica. Questi percorsi dovrebbero essere considerati come modelli di specializzazione soltanto dopo che lo studente abbia ricevuto un’adeguata formazione di base: 3 anni formazione di base (indirizzo classico) per entrambi gli strumenti (primo e secondo strumento); 2 anni di formazione specialistica ad indirizzo jazz, pop, rock, musiche tradizionali, musica antica per entrambi gli strumenti (primo e secondo strumento). Ciò consentirebbe a tutti gli studenti una formazione classica di base il passaggio allo studio della musica jazz, pop, rock, delle musiche tradizionali, della musica antica nell’ultimo biennio degli studi, con un adeguato bagaglio tecnico. Per questi nuovi insegnamenti, poi, dovranno essere previste delle nuove sottoclassi che dovranno necessariamente recepire le corrette denominazioni degli attuali diplomi accademici di jazz, pop/rock, musiche tradizionali, musica antica rilasciati dai Conservatori di Musica;
– Si ricorda infine che nelle Istituzioni Afam non esistono corsi di “laurea” (come erroneamente riportato ad es. all’art.6 comma a) ma accademici. Di “laurea” è il valore giuridico del titolo rilasciato al termine del percorso accademico, che si conclude con l’ottenimento del Diploma Accademico di I o II livello.
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